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Il Meteorologo
 
 
 

Da prima che l’essere umano fosse anche solo una mera creatura rudimentale, priva dei più elementari barlumi di intelletto, da prima che la Terra fosse un luogo adatto al proliferare delle più impensabili e meravigliose forme di vita, da prima che l’immane energia che pervade l’Universo cominciasse a dar forza al movimento d’ogni corpo celeste - il creato, l’infinito che si manifesta nell’immensità della Natura dettava i propri imperituri ritmi vitali scaturiti dall’inconcepibile favilla primeva e perenne, scandendo l’esistenza delle cose con le proprie perfette euritmie spazio-temporali sì da influenzare qualsiasi bioritmo esistente e sì che nessuno di questi ne sapesse alterare e infestare il moto purissimo. E quando sul pianeta Terra l'uomo cominciò a disporre dei necessari strumenti intellettivi per comprendere e interpretare tali preziosissimi ritmi vitali, la Natura seppe dolcemente imporre quell’inusitata armonia rivelandola a guisa di prima legge fondamentale per la vita in evoluzione: l’esistenza degli esseri umani – in quanto creature più capaci d’altre d’intendere questi fenomeni – ebbe le sue prime regole per le quotidiane attività, e l’uomo intese finalmente come attorno a sé tutto accadeva non per bizzarre e anomale casualità ma in forza di perfettissimi meccanismi che nella loro profonda e basilare essenza andavano oltre ogni più avanzata capacità cognitiva scientifica: la notte ed il giorno, il moto degli astri, il susseguirsi delle stagioni, dei fenomeni naturali e di quelli atmosferici. 
Questi ultimi, in forza della loro virtù d’essere quasi sempre la più potente ed evidente manifestazione della forza della Natura, furono da subito identificati come possenti messaggi divini, sovrumane forme di dialogo e d’azione con le quali gli dei dimoranti nei cieli luminosi influenzavano primariamente le attività umane, le premiavano o le punivano; quindi repentinamente ricca fonte di favolose narrazioni, di leggende e di miti, nonché di assoluta importanza e considerazione per coloro che detenevano il dono – spesso reputato sintomo di padronanza delle arti magiche - o comunque la capacità di capire e di prevedere quei fenomeni, la pioggia come il sole, la siccità e la neve, il vento oppure la tempesta. D’altronde, per gran parte della fenomenologia meteorologica che l’uomo poteva considerare, era la Natura stessa a fornire le nozioni fondamentali per poter comprendere e quindi prevedere l’andamento del tempo, nella forma di molteplici e poliedrici messaggi provenienti da ogni dove, dal cielo, dalle piante, dagli animali del bosco o da quelli domestici.  Tutte quelle popolazioni che, per necessità o per virtù, erano legate per le attività quotidiane ai ritmi naturali avevano quindi imparato a riconoscere il tempo e i suoi moti, e su questa conoscenza basavano lo svolgimento delle propria vita e del proprio lavoro, della cura dei campi e dei boschi, dei viaggi e del divertimento – e pure, in casi estremi, di nascite, matrimoni e riti simili. Ciò era veramente fondamentale per quelle comunità, dacché ancora ben vivo, necessario e sentito era il profondo legame che in una fusione ideale mesceva Natura e umanità nel prodigio dell’interscambio vitale tra la Terra e i suoi abitanti, il cui perfetto equilibrio poteva garantire la salubrità di entrambi.

Anche le genti che abitavano i villaggi sulle pendici e nelle vallate della Grande Montagna avevano acquisito, nei secoli, tale arte veramente nobile, che ancora oggi ritmava gran parte delle attività umane ai piedi delle immacolate vette ghiacciate, ed era ben difficile che le previsioni sull’andamento del tempo che a sera si sentivano pronunciate nei discorsi dei valligiani per le vie dei borghi si dimostrassero fallaci. 
Ma v’è il tempo meteorologico e il tempo cronologico: e se l’uno scandiva e scandisce la vita degli esseri viventi nell’eterno ritorno dei suoi prevedibili fenomeni, l’altro imperterrito da sempre continua la sua spesso folle corsa verso l’imprevedibile futuro, lasciando che esso si faccia anticipare dai prodigi dell’evoluzione intellettuale della razza terrestre dominante – anch’essa impegnata a tenere il passo dei giorni, dei mesi e degli anni pur a volte non avendone le effettive capacità o viceversa detenendole ma traviandole nell’impeto di esaltazioni verso il tentato raggiungimento dell’impossibile, danneggiando quel che di buono v’era al principio. Pure in quelle piccole, grandi cose, dunque, una delle quali poteva essere l’ancestrale dialogo tra l’uomo e la Natura – con tutte le sue manifestazioni - venne quindi l’evoluzione, l’innovazione miracolosa, la tecnologia, i marchingegni portentosamente pindarici, i computer, i satelliti artificiali; con essi, una nuova generazione di scienziati che senza avere ormai più alcun legame con la Natura, con i suoi ritmi e con la profonda e secolare conoscenza dei suoi fenomeni, pretendeva di dettar leggi infallibili nel campo nonché di rappresentare l’esclusivo circolo dei veri, grandi e unici depositari del sapere scientifico, razionale e materialista e, ovviamente sempre nel giusto, che s’innalzava nel cielo puro del trionfo umano su ogni altra cosa allontanandosi fortemente dalle credenze dei “non-iniziati” – quali i “poveri” montanari, ad esempio, così legati ancora a quei buffi proverbi e quelle assurde filastrocche, pseudo-nozioni e volgari insegnamenti direttamente provenienti dal rozzo medioevo se non ancora prima…  Gli scienziati sapevano: era giunto il tempo di non più perdersi nell’inutile ascolto della Natura, sfruttando il grande potere che la perfetta tecnologia donava all’uomo moderno e dimostrando come lo stesso potesse ormai realmente dominare il suo regno terrestre. Eppure la Natura parlava, dialogava, ancora conversava con quegli scienziati: purtroppo, però, le loro orecchie erano ormai chiuse, ed i loro visi ben rubicondi della boria di quella onnipotente tecnologia moderna…

Si diffuse dunque la notizia che, a breve, su un colle che s’innalzava da una dorsale del massiccio posto in posizione dominante sopra uno dei paesi ai piedi della Grande Montagna sarebbe stato aperto un modernissimo osservatorio meteorologico – una costruzione in cemento armato sulla cui copertura campeggiava una grossa antenna di ricezione dei messaggi trasmessi da satelliti artificiali in orbita terrestre - messaggi poi elaborati con i più moderni e potenti computers così da emettere – ad uso non solo dei fruitori delle zone montane ma anche del resto del paese - precisissime e indiscutibili previsioni del tempo, che poi i mass-media avrebbero diffuso a chiunque.  A dirigere il tutto, impiantandosi nel villaggio in una moderna costruzione posta giusto nel centro del borgo, doveva arrivare tale Professor Santer, assai esimio e pluriosannato scienziato di fama, figlio di una delle più ricche e potenti famiglie della pianura, politico da tempo e abbastanza antipatico da risultare indigesto anche a molti dei suoi collaboratori; basso e tarchiato, dalla canizie incipiente ma non così anziano – eppur nell’aspetto piuttosto simile ad un grosso nano pluricentenario dalle cui labbra sempre fumigava un sigaro dall’olezzo nauseabondo, egli era il classico uomo di potere che ben conosceva i canali giusti per giungere ovunque necessitava l’obiettivo che perseguiva e si prefiggeva, e di lì ottenerne tutti gli utili e inutili vantaggi correlati: per questo, quando giunse al villaggio con gran seguito di auto e relativi personaggi apparentemente senza scopo – “leccapiedi” già sentenziavano le donne nell’osservare il piccolo corteo - per tenere la conferenza stampa inaugurale del progetto, già da tempo i valligiani vociferavano che quella orribile struttura appena sopra il paese, con le sue antenne e tutti quegli strani strumenti, non serviva soltanto per fornire un presunto infallibile servizio di previsioni meteorologiche, ma anche aveva il non secondario compito – anzi… - di giustificare abbondanti finanziamenti dalle strutture di governo: che poi questi lauti emolumenti servissero per la ricerca oppure per altre cose, forse anche più personali, alla gente comune non era dato di sapere.
E comunque, quella che era una certa curiosità scevra d’ogni possibile polemica che la gente del paese volle inizialmente riporre in quel personaggio e nel suo progetto scientifico, ben presto – solo qualche minuto…- si tramutò in profonda antipatia verso una persona pur di scienza, pur insigne nei propri luccicanti onori al merito e nella sua rinomanza, ma che forte della sua spocchiosità iper-materialista e super-razionale negatrice d’ogni altro verbo che non fosse il proprio e quello dei suoi strumenti, se ne usciva volentieri con affermazioni, durante quella conferenza stampa, che acidamente deridevano quei “buffi” montanari fuori dalla sala, con i calzoni al ginocchio, i cappelli in panno con le piume di gallo cedrone e i loro occhi sempre levati al cielo, che nella loro divertente e ignorante semplicità non potevano capire – e mai avrebbero potuto - quali enormi passi in avanti aveva fatto la scienza e la tecnologia, fornendo all’uomo i mezzi necessari per non essere più in balìa della Natura, ma per finalmente diventare di essa il dominatore assoluto.
Per tutti gli dei! Quale affronto, da quell’intruso! Tuoni e fulmini – e questa volta non solo meteorologici! Chi era quel bell’uomo, si dicevano i valligiani, che con tanta tracotanza si riteneva così innegabilmente un dio, onnipotente e prepotente al punto da considerar loro quasi come una razza di cavernicoli stupidi e inetti? Proprio loro, loro che, come tutte quelle genti a contatto da secoli lontani con il mondo della Natura, ben sapevano come ad essa con il dovuto rispetto approcciarsi, come con essa dialogare e da essa apprendere, senza alcuna insolente dominazione ma con la costante e continua conoscenza, con l’apprezzamento delle sue bontà come anche delle sue ire: sapevano che con il mondo naturale si doveva necessariamente collaborare, perché chiunque avesse tentato di dominarne la gran forza ponendosi contro di essa con le armi della vanità e della presunzione d’un’impossibile e onnipotente saccenteria, facilmente avrebbe fatto una fine quantomeno ingloriosa...

Così tra il mugugnare degli abitanti del piccolo villaggio il centro di osservazioni e previsioni meteorologiche del professor Santer cominciò l’attività, con gran sbandieramento elegiaco sui mass-media e con le apologie dall’establishement scientifico e dalla classe politica, quale prezioso fiore all’occhiello della tecnologia e del progresso umano nei confronti della orribile brutalità delle forze naturali – e nel frattempo i bambini del villaggio si divertivano a buttare le carte delle caramelle nella cassetta postale della villa del novello Eolo, che già le madri presentavano ai piccoli come il degno sostituto dell’uomo nero, o simile personaggio da incubo infantile…  In effetti i valligiani sempre meno riuscivano a sopportarlo, e certamente egli non compiva alcun gesto pur semplice per farsi apprezzare, mantenendo sempre quell’aria di superiorità e di onnipotenza nei confronti dei “rozzi” montanari; peraltro nessun “buongiorno” si poteva vedere dal mattino, dacché all’ora presta la sua salita al centro sopra il villaggio veniva annunciata dal maleodorante rombare del proprio fuoristrada – che poi mai egli guidava, da buon luminare meritevole d’un altrettanto buon autista – che puntualmente rompeva il solito soave incantesimo che l’istante antelucano poneva idillicamente sulla vallata; per di più, prese a far affiggere su una bacheca appositamente installata in centro al borgo i rapporti quotidiani che il centro stilava sulle previsioni del tempo – a guisa di guanto di sfida gettato al volgo e a voler dire allo stesso del villaggio: …ammirate la perfezione e l’infallibilità della più avanzata tecnologia umana, voi poveri che ancora vi affidate alle vostre buffe credenze per poter prevedere l’andamento del tempo…!…
Ma se sfida effettivamente vi doveva essere, già la Natura aveva scelto con quale schieramento parteggiare, e ciò in fede di quell’ancestrale patto d’alleanza che vigeva tra essa e le genti della Grande Montagna…
E mentre le previsioni, assolutamente infallibili, del professore e del suo osservatorio giungevano su tutti i canali radio-televisivi nazionali e sugli altri principali mass-media, al villaggio ci si preparava – almeno spiritualmente – per l’imminente scatenarsi della pugna meteorologica… Ma nessuno approntava armi, escogitava strategie, inganni, sotterfugi ne tantomeno altre bassezze assortite; solamente si preparava un confronto tra preveggenti meteorologici: da un lato, la tecnologia futuristica e la boriosità del professor Santer, dall’altro la semplicità della gente della Grande Montagna e la propria tramandata conoscenza della Natura: due pensieri, due modi di intendere la vita, due modi di intendere sé stessi nel mondo e nei suoi eventi, anche in quelli più semplici. E proprio verso la Grande Montagna entrambi rivolgevano lo sguardo, ad essa che, sempre maestosa e affascinante, sembrava volesse proteggere quelle ancestrali conoscenze dei più grandi misteri di Natura rinchiudendoli nelle sue vallate, tra gli alti versanti delle sue dorsali, tra le vertiginose pareti delle sue punte o al di sotto della dura corazza bianca dei propri ghiacciai, a mò di casseforti impenetrabili per chi non detenesse il giusto spirito di conoscenza e comprensione ma pure lasciando sospeso in quel suo primordiale e irresistibile fascino il sentore di una possibile rivelazione dell’enigma prezioso… 

Dunque giunse l’inizio di Settembre – il principio della disfida - quando il professore-scienziato illuminato da dio previde un anticipato inizio delle nevicate, ed almeno due o tre giorni di freddo intenso: la notizia venne riportata dai giornali radio-televisivi, che naturalmente, ne fecero il consueto  semi-dramma, con avvertimenti in pompa magna quasi stesse per iniziare una nuova glaciazione. Poteva essere, già erano accadute in passato inusitate nevicate assolutamente fuori stagione… La notizia, naturalmente, venne affissa con caratteri grafici ben marcati nella bacheca al centro del borgo; eppure, al villaggio, la gente alzava gli occhi verso il cielo azzurro e mite, guardava sui prati, mirava i cardi aperti, i ragni che, tranquilli, tessevano le proprie ragnatele, le vette della montagna libere da nubi… Qualcuno tornava a rileggere il comunicato in bacheca, e ritornava ad osservare la gioiosità dei cardi nei prati ancora ben virenti ed ogni altra cosa: l’ambasciata inequivocabile di Madre Natura, il messaggio pronto da leggere e interpretare… Vi fu dunque chi del villaggio, probabilmente dotato più di altri di spirito di iniziativa e di presenza di spirito, telefonò cortesemente all’osservatorio, facendo notare che, nonostante quello che riportava il rapporto – effettivamente inequivocabile - apposto nella bacheca al centro del paese, lui ed altri del villaggio ritenevano che tutta quella neve e quel freddo non sarebbero giunti, dacché più che la previsione scientifica dei computers e dei similari marchingegni ultramoderni, non vi erano altri segnali indicatori in tal senso. Ebbene, un tale dell’osservatorio, che si qualificò come il vice di Santer, rispose ad essi - ed anche in malo modo, come il principale insegnava… - che ciò che il rapporto riferiva era il responso infallibile che gli strumenti fornivano, quindi, la certa e imminente realtà, ed ogni altra cosa non era altro che parte di quelle innumerevoli credenze che tosto era il tempo di debellare, definitivamente…
Ci fu un’intera settimana di tempo stupendo, e temperature miti…

E così ancora: poco tempo dopo il professore annunciò l’arrivo di una imponente perturbazione che avrebbe portato pioggia forte ed anche probabili violenti temporali per parecchi giorni: i valligiani scendevano al paese, passavano dalla piccola piazzetta centrale e leggevano il bollettino affisso; guardavano la Grande Montagna in tutta la sua algida bellezza, così splendidamente illuminata dai raggi solari, e forti di un antico proverbio che recitava “Il Sole bacia la montagna, le donne van per la campagna” - ovvero se la montagna risulta libera da nubi, si può andare tranquillamente a passeggiare per i sentieri – sapevano di poter smentire il sapiente professore, ed annunciarono nei propri discorsi tempo soleggiato. Così fu.

Poi venne Natale, che il professor Santer annunciò mite e secco con gran stupore dei valligiani, dacché gli animali nelle stalle si dimostravano nervosi, ed il vento continuamente sbatteva contro le scure e immense pareti della Grande Montagna sollevando la polvere ghiacciata e formando sulle stesse – come su immani lavagne di nero granito - bizzarri disegni: nevicò per due interi giorni, mettendo al suolo quasi un metro di bianchissima neve, con gran gioia di tutti i bambini del villaggio!

Doveva piovere poi, ed anche parecchio: poteva sussistere il pericolo di esondazioni di corsi d’acqua con relativi dissesti idrogeologici; con gran fretta e gran dispendio promozionale l’osservatorio mandò una comunicazione d’allerta a tutti i guardiani delle dighe della zona ed ai pertinenti enti, in modo da prevenire un eventuale brusco innalzamento del livello dei laghi e la pericolosa necessità di svuotare troppo repentinamente gli invasi… Fra i tanti fruitori delle previsioni dell’osservatorio v’era uno di quei guardiani, nativo del villaggio ma lontano da esso da qualche anno dacché custode di un impianto idroelettrico ubicato in un’altra zona della catena montuosa; allarmato da quell’altisonante comunicato che pareva contener già tra le righe il dramma dell’inevitabile, ma conoscendo un buon sistema per realmente verificare l’esattezza dell’annuncio, fece una telefonata al fratello, lassù al villaggio ai piedi della Grande Montagna. Costui altro non fece che riferire ciò che poteva osservare al di fuori della finestra di casa propria, ovvero la bellezza colorata dei molti fiori decisamente rivolti verso il Sole, le laboriose formiche in marcia per lunghe colonne a caccia di cibo ed i falchetti volare veloci disegnando mirabili arabeschi d’aria nell’arco celestino, e lo tranquillizzò; e così tranquillo restò quel guardiano, annunciando quelle buone novelle “caserecce” ai colleghi delle altre dighe. Piovve, sì, per non più d’un paio d’ore, poi il Sole splendette per diversi giorni…

Il professor Santer – esimio e rispettato luminare direttore dell’osservatorio meteorologico sopra il villaggio della Grande Montagna - esecrava quei maledetti montanari, che con apparente e inspiegabile semplicità si prendevano sì beffe di lui, e al villaggio si vociferava che al recapito postale dell’osservatorio cominciavano a giungere missive di alcuni dei potenziali fruitori delle previsioni meteorologiche diradate – in particolare di quelli che basavano sul benevolo comportamento del meteo le loro attività lavorative e non - i quali già prendevano a dubitare fortemente dell’infallibilità di quella infallibile tecnologia…  Ed egli, la sera, nel tornare dall’osservatorio verso la villa che abitava in paese con il solito rombante e maleodorante fuoristrada, doveva persino sorbirsi le prime risatine di scherno dei vecchi valligiani che quotidianamente chiacchieravano seduti sui vari tronchi d’albero che – torniti da artistiche mani artigianali - fungevano da panchine nella piazza centrale, ormai non più velati beffeggi frutto della sottile vendetta che i montanari, in forza di quell’antica alleanza tra la Natura, la Grande Montagna ed i suoi abitanti, stavano lentamente e costantemente ordendo…  E pure i bambini prendevano ormai per bersaglio dei loro più beffardi giochi lo scienziato inquieto, infilando ben bene dei piccoli rametti secchi nei buchi delle serrature della villa del professore, il quale giunse un giorno persino a chiamare per ciò le Forze dell’Ordine – con inevitabili spallucce e risate pure da essi…

Quindici di Giugno, tempo stabilmente sereno – senza alcun dubbio, secondo il professor Santer, eppure le lumache procedevano nervose e spedite per i sentieri: anche i più piccoli del villaggio sapevano che ciò era un inequivocabile segno di prossima pioggia. Piovve per bene, e grazie all’acqua copiosa caduta dal cielo i prati assunsero un colore verde talmente brillante che difficilmente così si era visto, tanto da parer che il villaggio si fosse circondato da un immenso mantello di lucidissimo velluto virente…
Primi di Luglio, sicuramente in arrivo una forte perturbazione carica di piogge e temporali - lo si poteva osservare bene dalle riprese dei satelliti orbitali rielaborate dai computers dell’osservatorio; il cielo, in effetti, si imbronciò, ma il fondo delle vallate rivolte verso i versanti Est della Grande Montagna permaneva sereno, e i vecchi dei villaggi riguardo quel versante ben conoscevano quel detto che da secoli recitava Se il leone non ha il cappello, sicuramente il tempo è bello; una delle creste della Grande Montagna, infatti, che da oriente digradava verso la bassa valle con continui saliscendi del suo filo, presentava ad un tratto – giusto in fronte al villaggio - un pronunciato torrione roccioso rotondeggiante, che osservato da diverse case delle vallate sottostanti pareva assumere la netta e inequivocabile conformazione della testa di un leone, con tanto di folta criniera ben ondulata: la mancanza del “cappello” sulla testa dello stesso, ovvero di una copertura di nubi, certamente indicava la presenza di vento in quota, nella maggior parte dei casi foriera di tempo sereno. Il cielo si mantenne nuvoloso per qualche ora, in alcuni istanti parve minacciare pioggia ma in breve salì un teso vento che ripulì velocemente il tutto, permettendo il ritorno dello splendore di un caldo Sole.

Sempre più adirato con quegli zotici pastori creduloni, il professore pluri-osannato, mostrava i primi segni di cedimento nervoso, accresciuti dal fatto che alcune comitive scolastiche in visita al super-tecnologico osservatorio da lui ideato e diretto – e che i suoi collaboratori presentavano ai piccoli studenti quasi fosse una base spaziale ubicata su un lontano pianeta - sembravano in realtà più interessate e divertite dall’opera allegra dei montanari che, sui verdissimi prati e per i rigogliosi boschi, portavano le mandrie al pascolo, curavano le falciature, s’impegnavano nella raccolta di erbe, fiori ed altri frutti della Natura; e sembrava che già i giovani visitatori comprendessero come quei valligiani così laboriosi e pittoreschi - che forse sapevano a malapena cosa fosse un satellite artificiale – detenevano nei loro semplici gesti e nelle pacate parole il segreto per l’accesso a così tante bellezze e a tanti misteri del luogo, sapendo anche prevedere con precisione che tempo ci sarebbe stato l’indomani mattina o nel prossimo futuro.  Di certo, quei probabili segni di cedimento nell’equilibrio psicologico e scientifico del luminare venivano anche – ed anzi, soprattutto – dagli ora non lontani timori che il suo super-retribuito centro di osservazioni potesse vedere i propri finanziamenti involarsi per altri lidi, magari verso istituti similari in quel momento più attendibili e certo rivestiti da una migliore immagine di merito…  Maledetti montanari, causa delle dolorose insonnie dello scienziato-meteorologo! Ma la tecnologia trionferà sulla stolta creduloneria popolare – egli si diceva - eh! se trionferà!… 
Forse…

Fine Agosto, nuovamente previste nevicate anticipate sul normale inizio di tali fenomeni, ma nessun bambino del villaggio preparò la sera i propri scarponi invernali per gioiosamente correre a  calpestare i previsti bianchi prati innevati: non vi poteva essere dubbio, i fili delle ragnatele sugli angoli delle case erano piuttosto sciolti, segno di probabile stabilità del tempo…  Non serve dare la risposta su come si presentò il cielo nei giorni seguenti, ma casomai serve invece far giungere un pensiero di solidarietà al ragno che, spensierato, tesseva la tela giusto sotto le travi del tetto della villa del professor Santer – e assai bene in vista, così preciso nei suoi presagi meteorologici - il ragno - ma così triste per non essere assolutamente considerato dal padrone di casa…
Venne, più tardi, una breve e piuttosto classica nevicata di fine Estate, tuttavia verso il venti di Settembre, con solo tre settimane di ritardo sulle previsioni dell’osservatorio; ma niente paura! Dopo la neve, un bel periodo certo di Sole – inconfondibilmente lo annunciava il consueto bollettino affisso alla bacheca al centro del villaggio!  Allora perché – si chiedevano i paesani - i gatti si leccavano continuamente il pelo, perché il cardo si chiudeva a mò di riccio, perché sui prati i trifogli ed i quadrifogli si rinserravano a sembrare composti di un solo foglio?  Perché piovve una settimana di fila, quella fine pioggia costante, noiosa, tipicamente autunnale…

La casistica in tal senso divenne, con il passare del tempo, veramente cospicua. Cospicue furono anche le spese che il professor Santer dovette sostenere per la riparazione del tetto della propria abitazione al villaggio, danneggiato durante un fortissimo temporale che il caso volle avvenuto in un giorno di tempo “sereno o poco nuvoloso, visibilità buona, temperature piuttosto miti e venti deboli da Ovest”! 

Assolutamente divertente sarebbe, ma rischiosamente noioso - nonché piuttosto scontato nei risultati - narrare la cronaca delle successive pugne meteorologiche tra i montanari del villaggio ai piedi della Grande Montagna e l’eminente scienziato direttore del futuristico osservatorio.
Passò il tempo, ed una fredda mattina d’Ottobre il sonno del villaggio venne inusitatamente turbato, all’ora antelucana, dal rumore di grossi camion che evidentemente si inerpicavano lungo la strada che conduceva all’osservatorio meteorologico sul poggio sopra il paese. La mattina era bellissima, purissima della soavità aurorale e lustrata da quel primo intenso freddo che tutto pareva bloccare in un unico istante di assoluta bellezza; il cielo terso donava una nitidissima immagine della Grande Montagna, delle sue vette, delle sue pareti, delle mille punte rocciose e dei bianchissimi ghiacciai già illuminati dai primi raggi solari che mirabilmente contrastavano con il verde cupo delle maestose foreste ancora ombrate nella profondità delle vallate, veramente degna di una tela del più grande artista – che forse mai quella avrebbe potuto creare, incantato da cotanta sublimità…  La Natura, e con essa la Grande Montagna, sembravano aver indossato il più scintillante abito da cerimonia per il festeggiamento di un evento inaspettato quanto anelato e finalmente giunto; la chiusura dell’avanzatissimo centro di osservazioni meteorologiche del professor Santer era in corso, con gran dispendio di mezzi evidentemente per renderlo il più possibile rapido; dello scienziato finalmente vinto, almeno al villaggio e nella vallata, pareva persa ogni traccia, ed era facilmente ipotizzabile che egli avesse organizzato il personale trasloco in ore ancora notturne, sì da evitare – così dicevano al villaggio - la figuraccia dell’attraversamento dello stesso da guerriero sconfitto - ultima onta in ogni modo da evitare per egli, battuto dalla Natura che credeva di poter dominare, dalla Grande Montagna che contava di erigere a mero monumento celebrante la sua indiscutibile egemonia sugli elementi, dalla semplice, nostrana, antica erudizione dei valligiani, certo forse fin troppo genuini alla prima apparenza, ma fedeli custodi di quell’antichissima arte del vivere in perfetta armonia con la Natura, dell’interpretazione dei suoi messaggi e dei suoi insegnamenti, dei suoi avvertimenti, dei presagi e dei consigli, trasmessi in una lingua per la cui comprensione non occorrono altisonanti lauree e neppure lauti finanziamenti, ma, semplicemente, unicamente, apertura di mente, di cuore, d’anima e di spirito.
Restava, al centro del villaggio, la bacheca in legno appositamente installata per affiggere i bollettini di previsione che l’osservatorio diramava, e sulla quale restava – a guisa d’epitaffio – l’ultimo emesso, annunciante tempo sereno e mite e su cui lentamente sbiadiva una calligrafia infantile che diceva: oggi piove…
Di lassù, come da infiniti secoli, la Grande Montagna continuava a vegliare, in eccelsa rappresentanza - essa sì - del vero, prezioso emblema materno insito nel mondo naturale, amorevole e accogliente per quei figli che ne sapessero realmente e senza alterigia recepire l’essenza primeva e profonda – quell’essenza di cui l’uomo è fin dalla notte dei tempi parte integrante, e di cui per sempre, se lo vorrà ed pur nelle più piccole cose, egli potrà goderne.
 

(Calolziocorte, 03 Marzo 2001)
 

 

 

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