Diretto per Milano Centrale, ore 06.50 (versione PDF)



…Quanti anni sono passati?… Quindici, ecco, da quando andavo al liceo, tutte le mattine, i marciapiedi ingombri di studenti, l’odore di ferrovia, il rumore, il vociare… L’edificio è rimasto quello, solo pitturato di nuovo, ma ora ci sono i sottopassaggi, le pensiline, i marciapiedi più larghi… Da stazione di paese ora pare atteggiarsi a quella di città, sembra darsi un’importanza che peraltro i visi delle persone qui intorno non pare vogliano riconoscerle…
Sta spuntando il sole da dietro le colline, il cielo è leggermente velato ma non minaccia tempo cattivo… Ho deciso di fare questo viaggio utilizzando il treno anche per viaggiare indietro nel tempo, per tornare un poco ai tempi della scuola superiore, per ricordare momenti di leggerezza, quando la preoccupazione peggiore era l’interrogazione imprevista, il compito in classe non preparato a dovere, la futile angoscia di sentirsi sull’orlo del patibolo per non aver studiato il pomeriggio precedente, per uscire in piazza e vedere quella biondina così carina e ammiccante…
I presenti sono tutti silenziosi, e se chiacchierano lo fanno come se fossero ancora a casa, preoccupati di non svegliare nessuno. Tutti lavorano di sicuro a Milano – vitaccia, tutte le mattine a quest’ora, il terno, poi la metro o il tram e ogni sera la stessa cosa alla rovescia… Eppure mi divertivo quando anch’io la facevo, quasi ogni giorno per andare in università… Altri tempi, altra età, la vita si adegua sempre al momento in cui è vissuta…
Trovo un amico, decide di frenare un po’ questo mio entusiasmo, forse per certi versi infantile, nel tornare a prendere un treno: non credere di sederti facilmente, di trovare posto, nonostante questa nostra sia soltanto la seconda fermata dopo la partenza! Forse nella carrozza di coda, qualcosa in quella di testa, ma per gran parte il treno è già bell’e pieno!… Bene! - dico io, che non amo la ressa e non la amo soprattutto oggi, che non mi pare proprio confacente al mio desiderio di rivivere i ricordi di tempi spensierati (passano altri conoscenti, cenni di saluto reciproci), e convengo che tentare ciò in piedi, con forse qualcuno che dormicchia appoggiandosi alla schiena – e peraltro temo che sarà una giornata nuovamente afosa, questa di oggi – non deve essere così semplice…
Arriva il convoglio, sferraglia frenando.
Vedo tante teste passare nei finestrini come fotogrammi entropici d’un cortometraggio senza trama…
Si ferma.
Le porte si sbloccano, salgo – non scende nessuno, ovviamente.
A sinistra, pieno… A destra, un posto…

La carrozza d’un treno è una sorta di ascensore in grande: vi entri, adocchi il posto libero ma vi giungi quasi più sospinto dallo sguardo di quelli che ti stanno osservando, da quando sei entrato, che dalla tua volontà di giungervi, peraltro distratta dal sentirti addosso quegli sguardi del tutto naturali e istintivi dacché tu, nuovo entrante in quella micro-comunità, grazie ad essi puoi essere accettato o viceversa no – fatevi entrare una persona che all’apparenza non lasci immaginare di sé nulla di buono che l’atmosfera, lì dentro, diverrà quella dell’istante prima di una combattimento… Poi ti siedi – mi siedo, è effettivamente l’unico posto libero – e dopo due secondi gli sguardi ti si distoglieranno di dosso, il segnale dell’avvenuta ammissione: sei in viaggio con loro, elemento sconosciuto tra altri d’una comunità casuale in moto, che tuttavia ha attivi in sé tutti i potenziali legami sociali d’una qualsiasi altra comunità consapevolmente partecipata… Infine, il treno si muove, riparte, riprende la sua marcia – si reinstaura la normalità che tu hai – che io ho – rotto con la mia intrusione: sei dunque tu ora – sarò dunque io ora, a poter conoscere meglio, dal mio posto, chi ho attorno – senza prima non riconoscere ancora quella particolare suggestione che ti si genera dentro quando vedi il tuo paese, il tuo paesaggio, il tuo mondo quotidiano allontanarsi attraverso i vetri del finestrino d’un treno: una sensazione particolare, che forse solo il treno ti può offrire, quasi che non sia esso a viaggiare via ma al contrario sia il mondo al di fuori che scorra e scivoli via, che cambi scenari e orizzonti fino ad presentarti davanti quello adeguato all’esperienza che dovrai vivere nei momenti seguenti…
La carrozza freme, rumoreggia metallicamente aumentando di velocità, sul consueto e tipico tatam-tatam ferroviario; il cielo verso sud è più sereno, non ha velature, e s’indora della luminosità che il disco solare invia dalle creste boscose delle colline laggiù, dalle quali è ormai prossimo a sorgere…
…Sembra entrare, la luce, dai finestrini dentro la carrozza, e lentamente e costantemente illuminarla ogni istante sempre i più, schiarendone l’interno, quanto contiene, chi contiene – prima, quando sono entrato, l’avevo io la luce addosso, e non vedevo nulla; ora che su di me si è affievolita – o si è girata altrove – illumina a mio favore, appunto…
…Tatam-tatam, tatam-tatam… Leggero lo sguardo, discreto, l’occhio si muove appena qui e là… Tatam-tatam, tatam-tatam… E se intercetta un altro sguardo, solo un attimo di comunanza e poi via, riservato, riguardoso, come se fosse attratto da quella vite che luccica appena appena lì sopra, sul portabagagli e non sul viso sconosciuto appena sotto, o sulla maniglia scolorita della porta d’ingresso allo scompartimento e non sul viso giusto accanto…
…Tatam-tatam… Tatam-tatam…
Una distinta signora, seduta di fronte a me, una ragazza accanto, e accanto a lei un giovane che dorme (universitario? Libri tra le braccia da leggere, da studiare, ma il sonno ha vinto, per ora…), dietro – non vedo le facce – animata discussione a due o tre sul calcio… Un altro ragazzo, occhi chiusi e Ipod che gli evita quel sopore che il treno provocherebbe, si dice, se non fosse così rumoroso – non lo ricordavo così, sferragliante – tatam-tatam, tatam-tatam… Dietro la signora distinta e il ragazzo con l’Ipod, invece… Non so… Spuntano capelli corvini femminili e un piccolo spicchio di fronte ambrata… Forse quella ragazza che deve essere salita sul treno dopo di me – l’avevo vicina sul marciapiede della stazione – dalle fattezze quasi indiane, dolcemente esotiche…

La signora distinta, sui sessanta, aria da professoressa in pensione o quasi, legge un periodico femminile, pare anche con interesse; la catenella dorata dei suoi occhiali brilla a tratti quando il vagare del treno per la sua via ferrata la pone a favore degli ancora giovani raggi solari… Noto inevitabilmente il distacco generazionale, la distanza con chi ha appena accanto, il ragazzo con l’Ipod, che i “suoi” periodici probabilmente li consulterà direttamente sul web… Cerco di intercettare la musica che sta ascoltando, di capire che cosa sia… Concludo rapidamente che di bands musicali in voga tra i ventenni ne conosco ben poche…
Il gruppetto che dietro discute di calcio ogni tanto alza il tono della voce, tuttavia la discussione è frivola, ridono spesso ma non disturbano. Quando ciò avviene, volto lo sguardo verso i loro posti, avanti alla mia sinistra; sul tragitto vi trovo la ragazza accanto al tipo che dorme – e come diavolo farà a dormire, la testa appoggiata alla vibrante parete della carrozza, il rumore, lo scuotimento continuo…?… - assorta nei suoi pensieri, lo sguardo un poco perso nel vuoto… Allunga stancamente una gamba verso il mio posto – indossa dei sandali a suola bassa, una specie di infradito “ibridi”, luccicanti per tante minuscole perline sulle fibbie in pelle scamosciata, dei jeans risvoltati fin sotto il ginocchio, una camicia di lino senza maniche… Pare che si stia recando al mare, più che in una grande città ove si lavora o si studia – studierà, forse, sicuramente, andrà all’università con il proprio ragazzo, che accanto dorme della grossa – ed io che al fruscio d’ali d’una rondine che sfiora le finestre mi sveglio di botto!… In più, dico a me stesso, non mi sembra cortese viaggiare con la propria compagna e lasciarla lì sola, in buona sostanza, perché le si preferisce un sonno che, ribadisco, non può essere così comodo e dolce… - cade la borsa alla signora di fronte, la raccolgo (noto che è più pesante di quanto potrebbe sembrare), mi sorride, ringrazia, si immerge nuovamente nella lettura del suo periodico… Ora il ritmo della musica che riesco ad intuire dall’Ipod del ragazzo accanto pare che si sia accordato a quello del treno in corsa – tatam-tatam, tatam-tatam, tatam-tatam…

E’ passato il controllore, sono stato l’unico ad esibire un biglietto di corsa semplice, i miei compagni di viaggio sono tutti abbonati. Lo sarà anche il ragazzo che continua a dormire alla grande, che il controllore stesso non ha osato disturbare, forse perché lo riconosce come habitué di questo treno, o della tratta ferroviaria… E dunque mi sorge repentino il dubbio che lui, il dormiente, e la ragazza accanto possano non essere una coppia ma due estranei come gli altri, e non so se tale dubbio mi sorga perché, all’improvviso, mi rendo conto di come sia veramente bella, la ragazza – non so neanche perché me ne renda conto solo ora, dopo più di venti minuti di viaggio e di faccia a faccia incrociato… - e, conseguentemente, di come sia piacevole osservarla, cercando di non peccare di puerile insolenza…
Ha lunghi capelli mossi, quasi ricci, bruni con riflessi ramati che fluiscono sulle spalle, e che le incorniciano il viso un poco spigoloso ma armonioso, nel quale i due grandi occhi di indefinibile colore chiaro la fanno da padrone… Anche perché ben evidenziati da sopracciglia estremamente curate… Non ha trucco evidente, se non un poco sugli occhi, ma gioca molto a favore della sua bellezza la pelle ambrata, luminosa – sarà il riflesso dei raggi solari che sembra seguano il treno in ogni sua svolta lungo i binari?…
E’ seduta in un modo che si potrebbe definire un poco scomposto – ma mi viene di giustificarla pensandola qui, su questo treno, tutte le mattine da chissà quanto tempo… - eppure riesce a non essere inelegante, anzi, in tal modo sembra rendere la sua avvenenza più naturale e spontanea, meno artificiosa, mentre i vestiti che indossa, e che mi sembrano più adatti ad una passeggiata in spiaggia che ad un luogo di lavoro o di studio (cos’altro, d’altronde, potrebbe andare a fare, a Milano, alle 7 di mattina?…) la rendono sbarazzina, quasi maliziosa…  In effetti il viso, pur armonioso e luminoso, non è di ragazzina… Potrebbe averne trenta, trentadue, e questa considerazione credo ne accresca in qualche modo la bellezza, le dia più… rilevanza…
Per un attimo ogni tanto i nostri sguardi si incrociano, si cadono addosso, come si dice, noto ancora la grazia veramente incantevole del viso, la sua immagine tendente al sublime, e ho ormai la certezza immotivata che lei non è insieme a lui – che dorme, naturalmente! – il che mi genera un vago piacere, altrettanto immotivatamente.

Il treno compie l’unica sua fermata prima del capolinea, salgono numerose persone ma si fermano tutte nel vano tra le porte della carrozza, mancano in fondo solo un venti minuti di viaggio e qui è tutto pieno – e sono contento di ciò, che non vi sia nessuno di così crudele da frapporsi in questa mia inopinata armonia…
Osservo un’altra cosa di lei, già da qualche tempo me ne sono accorto: è assorta in propri pensieri nei quali di certo sta vagando e che ne condizionano l’espressione del viso, seria, quasi compunta… Chiunque altri qui sta facendo “qualcosa”, leggere, ascoltare musica, dormire, chiacchierare (di colleghe di lavoro ora, quelli dietro), lei no, pensierosa, taciturna – già, che voce avrà?…
Accavalla le gambe, inclina la testa appoggiandola alla mano sinistra e al braccio piegato sul bracciolo del sedile – il piede della gamba accavallata mi si avvicina allo sguardo, quasi voglia denotarmi come sia curato, appena appena rilucente sulle unghie smaltate d’una tinta neutra – il treno è ripartito, me ne rendo conto dal dondolio comune più che dal rumore, che mi pare di non più udire se non flebilmente, e dall’osservazione del paesaggio fuori dai finestrini, verso i quali lo sguardo rifiuta di puntare, ora…
Quando mi rendo conto di pensare, osservandola, di come la bellezza e il fascino possano essere tanto più grandi quanto meno siano ostentati, mi sorge il timore che queste mie riflessioni scaturiscano dallo sguardo fattosi ora forse troppo sfrontato, troppo insistente sulla sua seducente figura – e contemporaneamente, nemmeno avessi pensato ad alta voce, lei volta lo sguardo verso di me, catturandomi gli occhi come con un raggio paralizzante e traente… Sono in imbarazzo, ma non riesco a distoglierle lo sguardo, tanto più che lei lo regge, come se stesse recependo le sensazioni indescrivibili che sulla vista stanno viaggiando verso i suoi occhi e oltre, alza appena il viso staccandolo dalla mano che lo reggeva, accenna un sorriso…
…E io…

All’improvviso, con lo stesso effetto quasi della sveglia mattutina, sento la suoneria di un cellulare… Vedo lo sguardo sublime uscire del mio – è il suo cellulare che suona, lo sta cercando, lo trova nella borsa, risponde… Giro all’istante lo sguardo – che qui sì sarebbe troppo impertinente – la signora distinta di fronte ha concluso la lettura del suo giornale femminile e guarda fuori dal finestrino, il ragazzo con l’Ipod che ancora suona nelle sue orecchie rovista nel proprio zaino, il gruppetto dietro è tornato sull’argomento calcio – tatam-tatam, tatam-tatam – riconosco il paesaggio urbano ormai prossimo a Milano, della ragazza dalle fattezze indiane o chissaché vedo ancora solo la cima della capigliatura corvina…
Sento la sua voce, dolce, tranquilla, un filo roca, riconosco un accento del centro Italia, probabilmente – mi piace, è piacevole da ascoltare – d’altronde non posso fare a meno di ascoltare la sua discussione telefonica, dato che non pare così interessata a celarla, a rendere il più possibile inudibile il tono della sua voce… Come fosse sola, in una stanza chiusa, senza nessuno che la possa sentire… La osservo fugacemente – nella coda dell’occhio il ragazzo da parte che dorme ancora! – parla tranquilla, il viso sempre compunto, lo sguardo che vaga nel nulla di fronte a lei, proprio come se non le dia fastidio il fatto di poter essere udita nelle sue cose… Personali, credo…

No, sto bene ora…

Sì, non preoccuparti…

Sì, la vita continua… E poi sto bene, te l’ho detto…
(Parla tranquillamente, con un mite sorriso che le labbra tracciano con una spontaneità inevitabile… La contentezza che vorrebbe rivelare svela invero una mal tollerata malinconia…).

Sì, sì… A Milano, quasi…

No, non sono uscita ieri sera, non c’era in giro nessuno…

No, guarda… No… Così è stato e così doveva essere, evidentemente… Dunque…
(Ascolto, la mente già costruisce con tutti quei tasselli il filo rosso della sua storia, ogni parola udita tesse meglio la trama…).

No, ti ripeto… Non è proprio il caso…
(Tesi: è al telefono con il suo ex ragazzo. Ipotesi: si sono lasciati da poco, probabilmente lui ha lasciato lei, forse “slealmente”, ora sente frusciare dietro la propria coda di paglia, la chiama per sostenerla nel morale facendo il premuroso ovvero si premura così di farsi autorizzare il proprio addio, ovvero cercando di renderlo meno doloroso e dunque automaticamente imponendoglielo… Per la serie: ok, ho sbagliato, ora che l’ho ammesso tu mi devi perdonare…).

Sì, ho spostato il divano, l’ho messo com’era prima… In pratica è tutto com’era prima, ora…

Sì, da sola… Te l’ho detto, so cavarmela benissimo, cosa credi?!…

Già… E’ meglio così, sono diventata fatalista già da un pezzo…

No, non è il caso… Scusa, perché dovrei guardare indietro su una strada già percorsa e passata?… Vado avanti, è giusto così e forse anche meglio, come ti dicevo prima…

No, no…

Uno scossone, il fischio acuto dei freni del convoglio, lo sfiato dell’aria… Fuori, dietro il suo viso che conserva quel melanconico sorriso dopo aver appena chiuso la telefonata con un qualche saluto che non ho udito, la grigia ossatura metallica della Stazione Centrale, la voce metallica degli annunci di arrivi e partenze, i grandi cartelloni pubblicitari. Milano, capolinea, non me ne sono nemmeno accorto, così intento ad ascoltarla, ad immaginare la sua storia...
Tutti in piedi, pronti a scendere, la signora distinta deve avere particolarmente fretta, dacché è già nel vano delle porte della carrozza; il gruppetto ciarliero continua la propria chiacchierata, tutti in camicia bianca e cravatta scura, non la avevo ancora notata una tale consonanza di fogge; anche il dormiente, evidentemente avvezzo a questo metodo di riposo quotidiano, fermatosi il treno si è destato, come se al moto dello stesso avesse collegato il suo sensore di regolazione del sonno… Fuori, il marciapiede è già ingombro di gente frettolosa, un fiume umano dalla corrente impetuosa che riceve nuova acqua da tanti affluenti laterali quante sono le porte del treno…
Mi alzo, le lascio spazio per uscire, mi sorride con languida delicatezza per ringraziarmi, mi giovo di considerare la sua figura intera ed eretta, veramente bella, elegante, seducente come quella d’una dama ritratta in una tela ottocentesca, meravigliosa tanto quanto lontana, chiusa nell’armonia della “sua” arte, della sua vita di cui ho solo sfiorato una piccola parte temporale dacché ad un tratto, quando avrei voluto conoscere di più di una così sublime opera d’arte, ho temuto di poterne profanare la particolare bellezza, che si illuminava anche della sua malinconia quale elemento proprio ed esclusivo, solo e unicamente suo, in quel momento, e di nessun altro…
Scendiamo, anche noi diventiamo parte del fiume umano impetuoso. Devo cercare sui monitor la mia coincidenza, la conferma dell’orario, il numero del binario… Rapidamente la sua figura si riconosce solo dalla folta chioma ramata, per poi scomparire del tutto, in qualche secondo, nella moltitudine…
La solita confusione mattutina della Stazione Centrale…

Ore 07.50, binario 16, il mio prossimo treno… Mancano 10 minuti a che parta…
…E il suo volto sfuma, lentamente si dissolve nella mente, svanisce tra i mille altri pensieri, come una chimera che abbia definitivamente e irrefutabilmente palesato la propria impossibilità…

Non ricordo già più i dettagli del viso…


 


 
 

 

 

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